CASTELLO:
Al culmine sono visibili i pochi resti del Castello
medievale, (dal sec. XII al XIV), una torre che sovrasta una porta e
alcune stanze con pilastro centrale e volte a crociera; in questi
ambienti, consolidati e restaurati, è stato allestito il Museo dell’Intreccio
mediterraneo. Splendido il
panorama che da qui si abbraccia: tutto il golfo dell’Asinara e le
coste galluresi, mentre nelle giornate terse si possono distinguere
anche i monti della Corsica.
Scendendo per vicoli e scalette alla via Mazzini, vi si incontra
la gotica Casa comunale, con archetti sul fianco, uno stemma
marmoreo settecentesco nel portico d’ingresso e, all’interno, una
mazza medievale simbolo del reggimento autonomo del Comune.
Si prosegue e si passa accanto al Seminario (1760), sovrastato da
un piccolo campanile a vela.
CATTEDRALE:
Più in basso, dopo la chiesa del Purgatorio,
restaurata, si arriva alla cattedrale di S. Antonio Abate, modesta
architettura voluta dal vescovo Giovanni Sanna – che resse la diocesi
dal 1586 al 1607 – e costruita sull’impianto della precedente
chiesa romanica di S. Antonio che fu priorato benedettino; affiancata
da un campanile di trachite con cupola maiolicata, sorge in
magnifica posizione a dominio del mare e delle fortificazioni.
L’interno, a una navata, presenta nella zona presbiteriale e nell’ultima
campata reminiscenze tardogotiche non infrequenti nell’architettura
sarda della fine del Cinquecento; sotto la cantoria, del 1727 (di qualità il
decorato organo settecentesco), stanno il fonte battesimale, un lavabo e
alcune lapidi tombali di cui una con eleganti versi latini.
La cattedrale di Castelsardo conserva quasi intatto – raro esempio
nell’isola – l’arredo ligneo sei-settecentesco: altari riccamente intagliati e
dorati, paliotti policromi su fondo oro, stalli corali (sec. XVII) e un pulpito
di fattura assai pregevole. Degli altari, solo il maggiore e quello del transetto
d. sono in marmo; fra gli altri, tutti lignei originali, sono particolarmente
interessanti, a sin., quello della 4a cappella, di S. Filippo Neri, il cui
retablo si compone armoniosamente con gli intagli, e quello del transetto,
grandioso e raffinato (1738), con statua policroma di S. Antonio abate di
arte sardo-catalana del sec. XVI.
Sul neoclassico altare maggiore si trova una Madonna col Bambino
e sei angeli musicanti, parte centrale di un’*ancona smembrata della
quale, nell’attigua aula capitolare, sono visibili altre parti: un notevole S.
Michele Arcangelo, la Trinità e, pertinenti alla predella, gli apostoli
Filippo e Bartolomeo e Mattia e Matteo. L’opera, databile fra gli ultimi
anni del Quattrocento e il primo decennio del Cinquecento, è importante
lavoro giovanile del cosiddetto Maestro di Castelsardo, anonimo artista
al quale sono stati assegnati una serie di dipinti distribuiti a Cagliari,
Tuili, Birmingham e Barcellona; la sua pittura rivela influssi antonelliani
che si innestano in uno schema figurativo tipico di quella tradizione fiamminga
che, nella seconda metà del Quattrocento, grazie al commercio
della lana, si diffuse in Spagna e, indirettamente, in alcuni dei suoi
domini italiani.
Dalla cattedrale, percorrendo suggestivi vicoli, che frequentemente
si aprono con squarci improvvisi sul mare, e anguste
piazzette chiuse da alte case, si scende al belvedere dei Bastioni
spagnoli, restaurati nel XVIII sec. dal governo sabaudo; le brune
mura, secondo lo storico ottocentesco Vittorio Angius, si snodano
disegnando la figura di «un triangolo scaleno con l’angolo
minimo puntato».
Procedendo verso la cinta, spicca ben delineata la torre che
proteggeva la porta a Mare, da cui si può accedere allo scosceso
pendio fino alla scogliera, con bella vista sull’insieme del centro
storico.
Chiesa di S. Maria: - Risalendo di nuovo verso il Castello, nella parte alta dell’abitato si trova la bella chiesa di S. Maria, costruita
in epoca medievale ma trasformata nel Seicento; priva di facciata,
vi si entra dal fianco destro. Nell’interno – una navata di tre
campate in cui si aprono cappelle con begli altari lignei – una
delle cappelle a sin., con volta a crociera e capitelli scolpiti,
custodisce il trecentesco Crocifisso detto «del Cristo nero»;
all’altare maggiore, fra le statue di S. Francesco e di S. Antonio
abate, un pregevole Ecce Homo seicentesco.
Dalla chiesa di S. Maria parte – per
farvi poi ritorno – la più interessante processione pasquale della Sardegna:
la cerimonia del «Lunissanti»: (il lunedì della Settimana Santa), risalente a
epoca medievale e conservatasi sostanzialmente integra nel suo antico
rituale. Dopo la messa, celebrata di primo mattino sull’altare del «Cristo
nero», si svolge un pellegrinaggio dei «Cori» (gruppi di quattro cantori) e
dei «Misteri» che si recano alla chiesa di Nostra Signora di Tergu, dove gli stessi «Misteri» vengono presentati alla Madonna accompagnati
dal canto funebre dell’«Attitu» in latino. Dopo l’imbrunire, a Castelsardo,
ha inizio dal quartiere della Pianedda la parte più suggestiva della
processione, con le scalinate, le piazzette e i vicoli del centro antico che –
spente tutte le luci – vengono illuminati da fiaccole. La processione è aperta
dagli ‘apostoli’ incappucciati, in candida tunica, che trasportano i
«Misteri» circondati dalle consorelle della congregazione che reggono altre
fiaccole.
La roccia dell’Elefante: - Lasciata a sin., presso la frazione Multeddu m 173, la strada costiera che attraverso Valledoria
porta a Santa Teresa Gallura (v. pag. 656), si incontra subito a sin.
la cosiddetta roccia dell’Elefante, masso trachitico che assomiglia
a un pachiderma accosciato con la proboscide rivolta verso
la strada; la rupe è traforata da «domus de janas», alcune delle
quali piccolissime; l’apertura di una di esse, con anticella, pure
aperta verso la strada, appare decorata da lesene, mentre le pareti
laterali recano due grandi teste taurine stilizzate.
La formazione detta dell’Elefante è una delle più spettacolari manifestazioni
del fenomeno di erosione delle rocce trachitiche e calcaree di cui
l’Anglona è disseminata, utilizzate spesso dalle civiltà preistoriche per
costruirvi gli ipogei funebri a «domus de janas».